Greenwashing: quello che dovresti sapere

Ogni giorno, siamo invogliati a comprare prodotti “ecosostenibili”. Spesso, le etichette dei prodotti riescono a confonderci a tal punto da farci pensare di aver acquistato prodotti eco-friendly anche quando non è così.

Con una maggiore consapevolezza dei consumatori che sono sempre più preoccupati per l’ambiente, è cambiato anche il mercato. Il consumatore attento è disposto a spendere di più per acquistare prodotti che abbiano un impatto minore sul pianeta. Da un lato, è meraviglioso vedere che ci sono brand disposti a mettersi in gioco per garantire ai propri consumatori dei prodotti etici e sostenibili. Dall’altro, per soddisfare l’impennata della domanda di beni eco-friendly, si sono sviluppate svariate strategie di business che puntano solo al profitto.

Infatti, la sostenibilità è diventata una moda. È sempre più “figo” acquistare prodotti eco-friendly. Questo trend ha portato anche a un aumento di prodotti che vengono venduti per “green” quando non lo sono. Il greenwashing è una pratica a cui prima o poi abbocchiamo tutti ed è per questo che ho scelto di parlarvene.

Cos’è il greenwashing?

Il greenwashingè una strategia di marketing utilizzata dalle aziende per costruire un’immagine di sé più rispettosa dell’ambiente di quanto non lo sia in realtà. In pratica, aziende che impattano in maniera negativa sull’ambiente, cercano di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi dovuti alle proprie attività o alla produzione dei propri prodotti.

L’etimologia della parola deriva da green (verde) e washing (lavare). Il termine richiama il verbo to whitewash (letteralmente “coprire”, utilizzato con un’accezione tipo “nascondere la polvere sotto il tappeto”). Per quanto mi riguarda, mi evoca anche un nesso con brainwash, ovvero lavaggio del cervello, anche se non ha alcuna connessione effettiva.

Le aziende che praticano greenwashing sono più focalizzate ad “apparire green” rispetto a investire effettivamente le proprie risorse per minimizzare il loro impatto sul pianeta.

Molti prodotti vengono definiti “naturali”, “eco-friendly”, “eco bio”, “bio” e “green” senza un motivo fondato. Come ho scritto nel mio articolo riguardante le differenze e le definizioni delle etichette, non esistono norme precise per molti termini utilizzati, per cui non esistono nemmeno certificazioni o simboli riconosciuti sulle etichette. Il termine “bio” è quello più sicuro in Italia perché, per essere definito tale, il prodotto deve essere certificato biologico. C’è tantissima confusione e ci sono molti brand che si dichiarano naturali, green ed ecosostenibili senza averne le caratteristiche necessarie.

Come fanno le aziende ad apparire green?

1. Etichette fuorvianti

Bisogna prestare attenzione alle etichette. Spesso, quando un prodotto viene definito “100% naturale” o “certificato naturale” senza alcuna informazione a sostegno di queste affermazioni, ci troviamo davanti ad auto-dichiarazioni. Per esempio, il termine “biodegradabile” che possiamo trovare spesso su prodotti di plastica, può sembrare eco-friendly. Ma quando pensiamo al termine in sé, capiamo subito che “biodegradabile” non è una certificazione e nemmeno un’affermazione specifica (prima o poi quel prodotto sparirà, ma quando?).

2. Comunicazione visiva improntata sulla natura

Un ottimo modo di creare confusione è l’utilizzo della comunicazione visiva. Viene spesso utilizzato un trattamento fotografico con immagini di animali selvatici e, più in generale, della natura. I marchi davvero eco-friendly cercano di concentrarsi sul prodotto e prediligono confezioni semplici con immagini altrettanto semplici, cercando di evitare superflui espedienti di marketing.

3. Dati nascosti

Spesso le aziende si definiscono “green” solo per un singolo aspetto del proprio impatto ambientale. Per esempio, un prodotto realizzato con materiale riciclato, può sembrare un acquisto ecologico ma non sempre lo è. Sono necessarie ulteriori informazioni sull’impatto ambientale del prodotto dal processo di produzione a quello di distribuzione per determinare se è davvero ecologico.

4. Il male minore

Alcune aziende tentano di indurci a pensare che siano eco-friendly utilizzando slogan che non hanno proprio una connotazione positiva per l’ambiente. Si mettono a confronto con i propri competitor, senza riconoscere il proprio impatto effettivo sull’ambiente. I pesticidi verdi possono essere meno dannosi per l’ambiente rispetto ad altri pesticidi, ma questo non significa che siano sicuri per l’ambiente. Le macchine a basso consumo di carburante, possono anche consumare meno di altre, ma non significa che non consumino nulla.

5. Slogan inutili

È molto facile leggere affermazioni irrilevanti. Le informazioni superflue vengono divulgate per distrarre un consumatore da opzioni davvero più eco-friendly. Saresti invogliato a comprare un prodotto che non è mai stato testato su un dodo? Certo che no, visto che sono estinti. È esattamente questo il punto. Non dovresti essere influenzato dall’acquisto di un prodotto pubblicizzato come “privo di clorofluorocarburi”, visto che sono stati vietati dalla legge già da diverso tempo.

Un esempio eclatante di greenwashing sono le catene di fast fashion come Zara e H&M che stanno iniziando a parlare di materiali più sostenibili. Sappiamo che l’industria della moda è la seconda industria che genera più rifiuti al mondo. E proprio il fast fashion ne è la causa principale. Con i loro prodotti “eco-friendly” e “sostenibili”, questi brand cercano di “wash out” le preoccupazioni di noi consumatori per la produzione dei loro prodotti.

Cosa posso fare per evitarlo?

Per evitare il greenwashing bisogna:

  • Valutare un brand nel suo insieme, comprese le sue politiche di sostenibilità ambientale, posizione nei confronti delle sperimentazioni animali e dei diritti al lavoro.
  • Cercare informazioni sul brand di nostro interesse. Cercarlo su Google, leggere altre opinioni, leggere articoli in merito.
  • Utilizzare applicazioni pensate proprio per questo. Per esempio, nel mondo del fashion, Good On You è ottima. L’app valuta un brand sulla base del suo rispetto dell’ambiente, delle persone e degli animali. Il loro database contiene più di 2.000 brand di fashion valutati in base a un solido sistema di classificazione per il loro impatto su persone, pianeta e animali. Danno un punteggio su cinque per ogni categoria e un punteggio complessivo.

E ricordiamoci che per quanto esistano opzioni e alternative decisamente sostenibili, etiche e genuine a tutti i prodotti che abbiamo sempre utilizzato, l’opzione più sostenibile è quella che abbiamo già.

È inutile cercare di combattere gli sprechi continuando ad acquistare cose! Facciamo tesoro di quello che abbiamo, cerchiamo di rinnovarlo, scambiarlo e chi più ne ha più ne metta.